Musica, cultura, look. Giunti al quarto episodio della nostra guida alle tribù urbane il legame tra queste tre componenti si fa sempre più stretto. Oggi, infatti, parliamo della cultura rastafari, anche se più esatto sarebbe chiamarla religione. E di come un culto molto circoscritto sia riuscito a valicare i confini di uno degli Stati più poveri del mondo e arrivare nei bassifondi e nelle dance hall di tutto il mondo, tra dreadlocks marjuana e promesse di amore universale.
Guida alle tribù urbane episodio 4: Rastafari
Partiamo dal dato storico: la religione Rastafari è una religione cristiana nata attorno al culto della personalità di un sovrano etiope, Hailé Selassié I. Secondo coloro che aderiscono a questo credo Selassié sarebbe la reincarnazione di Cristo, tornato sulla terra per guidare il suo popolo verso la terra promessa, Zion (o Sion). Lo stesso termine Ras Tafari è una parola composta da Ras, che vuol dire Re, e Tafari, nome di battesimo di Hailé Selassié I, al secolo Tafari Maconnèn.
Da movimento culturale a religione
Fu uno scrittore di origini giamaicane, Marcus Mosiah Garvey, a vedere nel sovrano africano la reincarnazione di Cristo, così come annunciato da una profezia contenuta nella Bibbia amarica. Garvey diede alla profezia cristiana della terra promessa un nuovo senso, legato alla liberazione dall’oppressione degli africani di tutto il mondo. In questa chiave di lettura Ras Selassié era la guida che avrebbe guidato tutti verso la terra promessa, l’Africa, a riscoprire le proprie origini ed affrancarsi da vessazioni e sfruttamento che avevano caratterizzato il terribile periodo colonialista.
Il ruolo della musica
Nella sua versione più pura, il rastafarianesimo abbraccia regole di comportamento molto rigide, derivanti dalla tradizione ebraica del nazireato. Divieto di bere qualsiasi alcolico, assumere droghe al di fuori della marijuana a scopo meditativo, tagliare i capelli o entrare nei cimiteri. Oggi può suonare davvero strano che una religione di stampo così intransigente possa aver fatto breccia in una platea come quella della scena alternativa occidentale. All’origine di questo “miracolo” c’è stata, come sempre, la musica.
Natty Dread
Nyabinghi era il nome di un tipo di canti nati in Uganda verso l’inizio dell’800, che univano l’aspetto spirituale a quello più battagliero dato dalla resistenza al colonizzatore tedesco. La musica Nyabinghi giunse in Giamaica, superando il filtro culturale degli schiavisti che credevano che potesse tenere alto il morale degli schiavi. Nell’isola caraibica ebbe larga diffusione, spinta dai movimenti anti-britannici, e verso la metà del ‘900 cominciò ibridarsi con altri ritmi di origine locale quali lo Ska e con la musica rocksteady che la radio cominciava a portare dalle coste della Florida.
Bob Marley, Peter Tosh e la nascita della Reggae Music
La svolta fu la nascita del Reggae e l’arrivo sulla scena di Bob Marley e Peter Tosh. I due vengono scoperti in Giamaica da un produttore inglese, Chris Blackwell, che pochi anni prima aveva fondato l’etichetta discografica Island. L’isola sta vivendo un momento di grande intensità culturale: nel ’62 ha conquistato l’agognata indipendenza dall’Inghilterra, e il fermento è alle stelle. Solo un anno dopo, nel ’63, nascono i Wailers, nei quali suonano insieme Marley e Tosh. Il gruppo ha presto un successo planetario, penetrando in Europa, in particolare in Uk, attraverso la folta comunità giamaicana emigrata. Quando, negli anni ’70, una star del calibro di Eric Clapton realizza una cover della loro hit I Shot the Sheriff, la consacrazione è totale.
La consacrazione
L’impronta culturale di Bob Marley fa breccia nei movimenti giovanili europei, affascinati da una (in parte travisata) idea di amore universale e dall’appeal rivoluzionario anti-proibizionista del consumo di erba. Affianco a Marley e forse più esposto politicamente, il grande Peter Tosh. Il primo a cantare contro il nucleare, a battersi per la causa ambientalista e la legazizazione. Un vero e proprio pioniere delle cause contemporanee, vincitore di un Grammy Awards con il suo “No nuclear War”. I dreadlocks, la caratteristica capigliatura rastafari, diventano ovunque un simbolo di libertà, pace e emancipazione dei più deboli. Altri aspetti, più problematici da importare tout court in Occidente, vengono esclusi dai più con un acrobatico cherrypicking. Non dimentichiamo, infatti, che il rastafarianesimo nasce con una forte impronta di lotta proprio verso l’invasore occidentale. La musica Reggae penetra in profondità in tanti altri generi musicali, dal rock al punk, e diviene definitivamente parte delle subculture urbane.
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